Il 24 agosto 2017 la Corte Suprema indiana ha dichiarato, con un pronunciamento unanime, che la riservatezza dei dati personali è un diritto costituzionale.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato per contestare la legittimità del c.d. sistema “Aadhaar”, progetto governativo sull’identificazione biometrica, introdotto in India nel gennaio 2009.
Con tale sentenza, la Corte ha evidenziato come il diritto alla privacy sia condizione essenziale per il godimento di molte delle libertà garantite dalla parte III della Costituzione indiana; tuttavia, non si tratta di un diritto assoluto. La tutela della riservatezza di ciascun individuo – continua la Corte – è essenziale al fine di salvaguardare lo spazio privato della propria casa e delle proprie relazioni, il matrimonio, la procreazione e l’orientamento sessuale; essa, inoltre, implica un diritto di essere lasciato solo. Il diritto alla privacy attiene, dunque, alla persona dal momento che è un risvolto essenziale della dignità dell’essere umano.
Da tali premesse, nonostante la mancanza di una previsione espressa del diritto in questione nella Costituzione indiana, la Corte conclude nel senso che si tratta di un diritto inalienabile, inequivocabilmente incluso nella Parte III della Costituzione, ed in particolare, ricompreso nell’art. 21 sulla inviolabilità della vita e sulla libertà personale.
La sentenza potrà avere effetti dirompenti all’interno dell’ordinamento indiano, non solo per quel che concerne la validità del già citato Aadhaar – sulla cui legittimità la Corte non si è pronunciata nella presente sentenza – ma anche per l‘impatto che potrà rappresentare su tematiche quali l’aborto, la procreazione assistita, l’uguaglianza di genere e l’orientamento sessuale.
Di seguito il testo della sentenza: http://supremecourtofindia.nic.in/supremecourt/2012/35071/35071_2012_Judgement_24-Aug-2017.pdf
MT